LA LUNA,FELLINI E LEOPARDI
L’arte di Fellini ha infinite fonti di ispirazione nei simboli letterari. Un rapporto privilegiato sussiste con la poesia di Giacomo Leopardi e il suo oggetto simbolico piu’ importante è LA LUNA.Nel film-testamento La voce della luna, fra i piu’ ermetici di Fellini, il rapporto fra un gruppo di stralunati sognatori e la luna (interprete Roberto Benigni ), acquista un significato ben diverso di quello astrofisico bensì riprende i valori presenti nella poesia di Leopardi. Nei film felliniani le citazioni leopardiane sono tante e spesso nascoste: dai versi del Canto notturno che si fondono con quelli di Alla luna. Questi vengono sussurati dal protagonista Ivo-Benigni, un omaggio al poeta di Recanati si evidenzia in un grande poster presente nella sua camera, dedicato a Giacomo Leopardi. Dunque Fellini con La voce della luna, ci lascia un testamento poetico e cinematografico, riassunto nella massima: “Nulla si sa,tutto s’immagina’’, dalla forte impronta leopardiana.In un’altra opera Intervista del 1987, Fellini compie un’operazione complessa, in quanto riprendendo il suo film piu’ famoso La Dolce Vita, ricostruisce il presente, il passato, il sogno e la realtà. Anita e Marcello, i protagonisti della Dolce Vita sono i Didone e Enea, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta di Intervista, dove in chiave metasemantica, richiama il passato o realizza l’immagine bidimensionale di esso su un muro. E ancora oggi rivedendo questo film originale, ci possiamo proiettare e far rivivere i fantasmi danteschi e leopardiani. Non solo nella Dolce Vita, ma nel suo capolavoro Otto ½, Fellini utilizza il suo io biografico nella figura di Marcello Mastroianni che incontra aspetti di degrado,moralita’ e immoralita’ delle vicende e che potrebbe sostituire la discesa agli inferi di stampo dantesco. I percorsi sotterranei e non solo mitologici, ma anche di sette religiose, come nei film Roma e Satyricon testimoniano l’influsso dantesco nel pensiero creativo di Fellini. Due spiriti laici Dante e Fellini, con una forte impronta religiosa, che non è quella conformista o peggio bigotta, ma aperta alle contraddizioni della realtà. Ma torniamo alla Vpce della luna. A questo proposito il critico cinematografico,Goffredo Fofi sul quotidiano Avvenire ha scritto: “La Voce della luna fu il suo estremo lavoro, mero caleidoscopio di precedenti capolavori ma non meno denso e intenso. Mi ricordo in particolare della lunga sequenza della “fiera dello gnocco’’, rappresentazione mirabilante di cosa stava diventando il nostro paese’’. Parole ancora attuali in questo periodo piuttosto lungo in cui soffriamo a causa della pandemia, che ci priva dei contatti umani e ci obbliga ma anche ci permette di ascoltare il silenzio. Il silenzio della luna.Anche nel pittore marchigiano-parigino Osvaldo Licini, originario di Monte Vidan Corrado, troviamo il tema lunare che nel Novecento ha affascinato tanti artisti: poeti, musicisti, scrittori e pittori. Licini è stato l’artista piu’ felliniano, ma anche dantesco e leopardiano. Nella sua vita vi è sempre stato il contrasto fra angeli ribelli e la luna. Se si pensa bene lo spazio geografico in cui vissero Dante, Leopardi e Fellini-Licini è vicino. E per tutti vi è stato un Esilio voluto e non obbligato, anche se la nostalgia, espressa da un punto poetico e filmico dal grande regista e poeta russo Andrej Tarkovskji, riappare e risuona nei versi , immagini e ritratti dei nostri personaggi. In Dante, Leopardi e Fellini, la marchigianità non è sempre originaria, ma diviene un elemento anche delle loro opere. Fellini, per il suo amico Tonino Guerra, è un personaggio marco-romagnolo che esce dagli stessi fumetti che scriveva e disegnava. Dante trova nelle tappe marchigiane i personaggi e i luoghi tra i piu’ importanti della Divina Commedia. E Leopardi, il marchigiano originario, ritrova nel borgo selvaggio, dal lungo soggiorno napoletano, un ricordo piena di amarezza ma anche dell’infanzia lieta e spensierata. Il rapporto fra Fellini e Leopardi è di carattere esistenziale. Li accomuna una rigida educazione, bigotta e conservatrice per il poeta e coercitiva sotto il regime fascista per il regista.Un altro aspetto è quello legato alla felicità e le sue illusioni. E qui sorge una differenziazione fra i due : il rapporto con Roma. Leopardi rimase deluso dei salotti intellettuali romani, lui che teneva i contatti epistolari con gli illuministi francesi. Tutto gli andava stretto. Per Fellini Roma è una nuova scoperta di luoghi e personaggi che saranno alla base di decine di scene dei suoi film. Ma vi è un elemento fondamentale che li accomuna: il tema dell’illusione della felicità che porta al dolore e tristezza. Questi aspetti si possono trovare nelle opere leopardiane e soprattutto nel suo testamento spirituale: la Ginestra. Per Leopardi il progresso e la ragione sono illusioni della felicità e che ritroviamo nel primo film di Fellini, Lo sceicco bianco del 1952. I personaggi di Fellini vivono di inettitudine e di una stanchezza vitale. Infine nella fase del pessimismo cosmico di Leopardi, si arriva alla conclusione che non è l’uomo che cerca situazioni di infelicità, ma è la natura maligna che mette al mondo le sue creature e le lascia sole, indifferente ad ogni loro richiamo. Rimane un unico modo per andare avanti per Leopardi e Fellini, non un anelito religioso: la solidarietà umana. Anche Fellini con il suo cinema interpreta l’esistenza umana, dapprima dispersa e confusa e poi come in un miracolo, la trasforma in un circo pieno di maschere e personaggi,dove ognuno cerca di non farsi troppo male. Nel film La strada, Gelsomina, interpretata da Giulietta Masina, vuole incarnare il ruolo innocente di donna per salvare i sentimenti umani, divenendone poi la vittima. Allora immaginiamo Giacomo e Federico a braccetto salire verso il colle dell’Infinito, perché non si rassegnano al dolore e cercando la speranza, forse l’ultima speranza per riscoprire il senso di umanità.

PAOLO MONTANARI

Pesaro 8 marzo 2021