E’ ormai da tempo che la letteratura russa sta dando humus, terreno fertile alle produzioni teatrali. Dopo la felice rappresentazione teatrale de I Fratelli Karamazov di Mauri/Sturno, quest’ultimo sarà il degno successore del grande attore pesarese, anche per l’indimenticabile interpretazione di Ivan, nel romanzo di Dostoevskij, che ha retto molto il testo/teatrale, ora un nuovo capolavoro russo, IL GABBIANO DI CECHOV, al teatro Rossini.
Una produzione teatrale che ha chiuso con grande successo di pubblico, la stagione di prosa al teatro Rossini. Non voglio fare una analisi comparativa fra i due capolavori russi, perché nel primo vi è l’uomo nella sua conflittualità fra il Bene e il Male, la presenza e non presenza di Dio e una religiosità non mistica che pervade l’opera.
Nel Gabbiano, l’opera più complessa e triste di Anton Cechov, mancano queste componenti, e prevalgono i temi dell’arte e dei sentimenti, astratti ma anche tragici fino al suicidio del giovane protagonista. Il regista Giancarlo Sepe, ha realizzato una messinscena teatrale equilibrata e non noiosa, come potrebbero rischiare gli adattamenti teatrali cechoviani piuttosto lenti e rotti dai silenzi. Qui no, perché la storia di Treplev, scrittore incompreso, del suo amore per Nina, il suo rapporto di odio/amore con la madre Irina, il personaggio meglio reso sulla scena, una famosa e anziana attrice che personifica il simbolo dell’Arte dimenticata come nel celebre film VIALE DEL TRAMONTO  di Wilder, pur respirando l’aria di una borghesia russa legata fortemente alla cultura francese, come ha sottolineato con sensibilità la professoressa Marta Fossa, vi è un deus ex machina, costruito da Giancarlo Sepe, che è MASSIMO RANIERI. 
E’ un fatto positivo o un limite? Forse sono valide tutte due le soluzioni. Se da una parte Ranieri, con la sua esperienza artistica, sensibilità, fa da filo conduttore alla storia, alla tragedia di origine greca, dell’incomprensione amorosa e dell’opera da scrivere, identificandosi nel giovane scrittore, in un abbraccio indimenticabile di PADRE/FIGLIO, secondo l’analisi dello psicanalista Massimo Recalcati, d’altra, diviene forse una presenza eccessiva nella figura del chansonnier, quale è poi in realtà il suo ruolo, perché sposta l’aspetto narrativo, testuale-teatrale. Ma in questo inaridimento generale IL GABBIANO DI CECHOV/SEPE è un tentativo coraggioso di recuperare il teatro ottocentesco, la tradizione classica, che termina nella tragedia della morte del Gabbiano. Uccello libero, come scrive il poeta Ermanno Pierpaoli, ucciso dalle mani dell’uomo.

p.montanari