L’altro giorno, trovandomi al bar del mio paese a sorseggiare il mio caffè quotidiano, ho assistito ad una scena per certi versi curiosa. Un ragazzo e lo zio di mia conoscenza, seduti ad un tavolo del locale, stavano intrattenendo una discussione. L’adulto, emigrato negli Stati Uniti parecchi anni fa, comunicando con il nipote usava spesso termini che lasciavano perplesso il giovane. Questi non ne comprendeva chiaramente il significato, per cui il dialogo si interrompeva frequentemente. Ad esempio ricordo che lo zio, avendo avuto la necessità di soffiarsi il naso, esclamò: “

Dunn’è l’ammuccaturi?”. Lasciando basito il nipote il quale comprese il significato del termine solo dopo avergli visto uscire dalla tasca un fazzoletto. La cosa che più mi ha colpito in questa situazione è il fatto che – nonostante i due parlassero in dialetto siciliano – fossero evidenti delle difficoltà di comunicazione. Erano a confronto due generazioni e due diverse esplicazioni dello stesso dialetto.

Ma a cosa può essere dovuto un fatto del genere? Secondo me ha influito in maniera determinante il naturale adattamento di alcuni termini di uso comune, ai vari contesti socio-culturali nel susseguirsi degli anni. La diffusione dei mass-media (e della televisione in particolare) ha enormemente favorito questo processo di scarnificazione del dialetto arcaico. Insomma il dialetto si è evoluto.

Tutte le lingue sono soggette a questo processo evolutivo, senza il quale – secondo me – andrebbero a morire. È importantissimo che una lingua come quella siciliana che da più di 2500 anni ha resistito a svariate dominazioni (acquisendo da ognuna quei termini che i suoi parlanti hanno ritenuto opportuno adottare, magari “sicilianizzandoli” ma che è rimasta intatta nella sua struttura) si adatti a quelli che sono i tempi moderni. Oggi, a maggior ragione, vista la considerazione sbagliata che hanno avuto e che purtroppo continuano ad avere anche molti siciliani stessi della loro lingua – considerandola spesso sinonimo di ignoranza e cercando di allontanarla il più possibile dai loro dialoghi – è necessario fare in modo di utilizzare una forma di scrittura più comprensibile ai giovani, che li avvicini il più possibile alla lettura, che faccia sì che la sentano più vicina a quello che è il loro modo di esprimersi. Senza cadere però in inutili italianismi, ma utilizzando invece quei termini che – per consuetudine – sono entrati a far parte della lingua siciliana, soppiantando gli stessi sinonimi più arcaici. Ciò non significa che questi stessi termini – anche se desueti – non debbano essere tutelati. Anzi si dovrebbe fare in modo di far leggere ai giovani testi di letteratura del passato affinché – confrontandoli con quelli moderni – possano comprendere lo spirito di questa terra, la cultura del loro stesso popolo che deve andar fiero delle sue tradizioni, cercando di salvaguardarle e tutelarle, così com’è sempre

accaduto sin dalla notte dei tempi.

Giuseppe Gerbino